Quando pensiamo al tempo fotografico,
pensiamo solitamente al tempo di apertura dell'otturatore. Tempi
brevi, tempi lunghi, effetto mosso, congelare il movimento,
compromessi col diaframma, eccetera.
Ma il tempo come dimensione dov'è
nelle nostre foto?
Dobbiamo farci qualche domanda sulla
percezione della dimensione temporale. Nella nostra esperienza di
terrestri, il tempo ha indubbiamente a che fare col moto. E'
un'esperienza quotidiana, quella del giorno e della notte che
scandiscono il nostro, appunto, tempo. Grazie al moto dei corpi
celesti.
E poi... ciò che prima era qui
e dopo è da un'altra parte,
ha compiuto un movimento.
Se partiamo da
questa considerazione iniziale, possiamo dire che in fotografia la
dimensione temporale è assente. I personaggi di una foto non si
muovono, fermi, uguali a sé stessi, finché la foto avrà vita.
Eppure quasi ci si
storce la bocca ad affermare questo. Perchè abbiamo una profonda
esperienza del valore temporale delle foto e di quanto, di tempo,
siano intrise. Abbiamo già parlato di Barthes e della sua analisi su
“ciò che è stato”, paradosso estremo nella foto di chi è morto
e sta per morire.
Ogni istante,
naturalmente, scorrerebbe via. Preceduto e seguito da altri, in una
serie durevole quanto l'intervallo di tempo preso in considerazione
(la nostra vita? Il secolo scorso? Dalla nascita della fotografia ad
oggi?)
Ecco, proviamo a
pensare quanti istanti, dalla nascita della fotografia ad oggi, sono
stati sottratti al loro fluire. Congelati nella bolla di una
pellicola o di una memoria digitale. Lì, da guardare e riguardare.
Torniamo alla
domanda iniziale
Come possiamo
riconciliare il moto e il tempo nelle nostre foto?
Gli esempi più
classici sono la cronofotografia e il stop motion. Due artifizi per
mettere in sequenza singoli istanti, dando l'illusione di un fluire.
Tutto questo è
divertente, utile da fare e da guardare, ma ancora non sembra
soddisfare quella sensazione di profonda identità tra il tempo e la
fotografia come mezzo espressivo. Anche perché questi accorgimenti
ci danno solo l'illusione della diacronia, ovvero di ciò che succede
attraverso il tempo. Ma la nostra esperienza è fatta anche di
sincronia. Diversi fatti che accadono nello stesso istante e nello
stesso luogo. E' quello che può mostrare – è solo un esempio –
la street photography, avvicinandoci a quella che è un'esperienza
comune e condivisibile.
La nostra mente
compensa il fluire del tempo con l'immaginazione di un momento
sperimentato o sperimentabile.
Inseriamo ora un
altro concetto che, nella nostra esperienza, ha a che fare con la
percezione di tempo: la causalità. Interviene un fattore, nel corso
degli eventi, per cui possiamo identificare un prima e un dopo. La
fotografia pubblicitaria sguazza in questa nostra percezione non
sempre consapevole. Abbiamo tutti presente un prima e dopo la cura,
prima e dopo la dieta, prima e dopo...
Due istanti, solo
due istanti che possono evocare gli anni intercorsi tra una foto e
l'altra.
Foto essenziali che
racchiudono, con diversi registri di narrazione, delle epopee.
Ma proviamo a
esagerare, potrebbe esserci qualcosa di ancor più sintetico di un
prima e dopo?
Un eterno durante.
Forse l'essenza della fotografia.
E non basta ancora.
Perché la fotografia è la rappresentazione di un eterno durante. E
a volte vale la pena ricordarselo.
Torniamo per un
attimo al tempo. In fisica esiste il tempo proprio. Un tempo
personale per ciascuno di noi che è diverso dal tempo proprio
altrui. Un orologio interno che ti porti dietro per tutta la tua
durata. All'interno del tempo proprio, possiamo definire la distanza
tra due eventi come tempo. Proviamo a fantasticare. In fotografia
sappiamo ragionare sulle distanze, sappiamo come con un obiettivo o
la scelta di un diaframma possiamo rendere lo spazio vicino e lontano
più o meno presente. Con l'inquadratura prima di tutto.
Se ragionassimo in
questi termini sul tempo...