Siamo avidi consumatori di foto di
animali. Ora, seppure questo scritto di Berger non affronti
esplicitamente l'atto fotografico, ci offre una serie di
spunti interessanti. Perché guardare e addirittura fotografare gli
animali? Berger se lo chiede perché sostiene che, tra noi e gli
animali, esiste uno stretto abisso di non comprensione. C'è una
profonda scissione tra l'essere umano e il mondo naturale. Il nostro
porci non solo al vertice della catena alimentare, ma l'avida
predazione e distruzione di ogni risorsa del pianeta, non ci consola
di un'atavica nostalgia. “Con le loro vite parallele, gli animali
offrono all'essere umano una compagnia diversa da quella che può
essergli offerta da un altro essere umano. Diversa, perché è una
compagnia offerta alla solitudine dell'uomo come specie”.
Così è sempre stato? Sappiamo di no.
Berger si appoggia all'antropologia di Levi-Strauss, quando cita gli
indiani delle Hawaii. “Noi sappiamo che cosa fanno gli animali e
quali sono i bisogni del castoro, dell'orso, del salmone e delle
altre creature, perché un tempo i nostri uomini si sposavano con
loro e acquistavano questo sapere dalle loro mogli animali”.
Probabilmente la prima metafora fu
animale, perché la relazione essere umano/animale era metaforica. E
probabilmente, se un giorno gli animali iniziassero a parlare,
comincerebbero da un linguaggio metaforico. Sarebbe interessante
scoprire se gli elementi delle loro metafore includerebbero la nostra
presenza e in che modo. Ma qui introduciamo una tentazione di
reciprocità, da cui forzatamente ci asteniamo ( è suggestiva, eh?).
Il primo soggetto della pittura fu
animale e probabilmente fu dipinto con sangue animale. Di quale senso
era carico? Non rispondiamo, ma chiediamoci di quale senso è
carica oggi la fotografia degli animali.
PET.
Questa è la nostra miserabile risposta
alla nostalgia atavica.
“Ciò che distingueva l'uomo dagli
animali – dice Berger – era la relazione che esisteva tra loro”.
Oggi la relazione che intessiamo con
gli animali è concentrata a cercare elementi di similitudine.
Altrove, con le nostre “necessità” siamo causa di estinzione
animale, ma nelle città dei paesi più ricchi, gli animali domestici
non sono mai stati così numerosi. Creature nate e cresciute in
funzione del nostro modo di vivere. Strumentali, funzionali a
consolarci della nostra solitudine di specie che ha perso quasi ogni
contatto con la potente simbologia del mondo naturale.
Il nostro rapporto diventa empatico,
laddove era metaforico.
Cosa c'entra tutto questo con la
fotografia?
La fotografia è un linguaggio che deve
possedere una ricchezza tale da poter arrivare alla povertà minimale
della sintesi. E gli animali, in questo discorso, volevano essere di
nuovo metafora per introdurci al preludio della fine di questa
conversazione. Il titolo di questa chiacchierata si palesa solo alla
fine.
Che reciprocità esiste nel nostro
sguardo sugli animali? Perché e come li fotografiamo?
Esiste una macchinetta fotografica,
stravenduta, che si appende al collare del nostro animale d'affezione
e s'imposta per scattare delle foto a intervalli di tempo
predeterminati. Ci offre l'illusione di essere fotografati dai nostri
animali, l'illusione di reciprocità. Ovviamente manca l'atto
volontario. “Fotografare significa scegliere e dare importanza”
diceva Susan Sontag. Se l'animale potesse scegliere cosa fotografare,
ve lo immaginate a scattare quando dormiamo? O quando sbadigliamo?
Penso che i miei gatti mi fotograferebbero solo nell'atto di versar
loro le crocchette, non sopravvalutiamoci.
Foto: Jo Spence |
Cos'è la fotografia?
E' una ricerca estetica invece di
un'istanza etica? O viceversa...
Né l'una né l'altra. E' una bugia
quando pretende oggettività. Perché la fotografia – e lo è
strumentalmente – è un punto di vista. Fermato nel tempo.
- Assumersi la consapevolezza e la responsabilità di congelare qualcuno nella posa che abbiamo scelto.
- Pensare che potrebbe capitare anche a noi...
- Nutrirsi di sapere, perché le nostre foto siano – come diceva Stieglitz - “colte, autorevoli, trascendentali”.
Non avete più voglia di fotografare?
FATE BENE.
Ma, se proprio voleste, iniziate a
raccontare il vostro piccolo punto di vista. A partire da sé. Questo
potrebbe essere il futuro della fotografia che ci siamo lasciati alle
spalle. Nei giorni decadenti dello stereotipo, di bellezza e morte,
amore e sangue, che noia...sembrano proprio tempi difficili. E invece
no. Sono, a discapito delle apparenze i tempi migliori. Quando
riecheggia lo stereotipo ovunque è il momento delle avanguardie.
Partite dalla vostra storia, dalla vostra vita, dalle vostre
opinioni. Certo bisogna avere una punto di vista per poterlo
rappresentare. E, ancora di più il coraggio di rivendicarlo.
Bello e buono, diceva l'ideale etico - estetico della cultura ellenica. Sono ancora convinta che una foto bella sia buona
e viceversa.