Tutte le foto pubblicate in questo blog sono di Luisa Siddi, tranne diversa indicazione in didascalia

domenica 28 luglio 2013

L'Impossibile reciprocità - II parte


Le incertezze volontarie, diceva Foucault.
Analizziamo la seconda versione di “Questo non è una pipa”. Foucault ci dice che l'incertezza della scritta, i grossi listelli di legno ci fanno pensare a una lavagna e che l'equivoco provvisorio sarà presto dissolto in una polvere bianca.
Ma questa è solo la prima delle incertezze volontarie e per il momento la tralasciamo, perché ci porta troppo facilmente alla labilità della memoria fotografica, di cui parlavo all'inizio.


Ora soffermiamoci sulla copertina delle “Lezioni di fotografia” di Stephen Shore. Cosa vedete? Una mano che mostra la foto di una nave, sullo sfondo del mare? No. E' la foto di una mano che mostra la foto di una nave ecc. E' come se dicesse: “Questo non è una mano perché questa non è una nave”.

Continuiamo con Foucault, a proposito di Magritte. “Ciò che sconcerta è la necessità inevitabile di riferire il testo al disegno e l'impossibilità di definire il piano che permetterebbe di dire che l'asserzione è vera, falsa, contradditoria”.
In fotografia tutto questo è la didascalia!

Jo Spence
Jo Spence amava giocare con i suoi studenti a inventare didascalie che modificassero la natura del messaggio fotografico. Per esempio, di fronte a una foto di caccia alla volpe, la didascalia poteva diventare “Raduno di inoccupati”. Se in questo permane la prima parte della frase di Foucault (“la necessità inevitabile di riferire il testo all'immagine), la seconda parte s'incrina. Perché il piano che permetterebbe di dire se l'asserzione è vera, falsa o contradditoria, non è impossibile. Ma accessibile attraverso l'esercizio dell'ironia. Cos'è cambiato? Solo l'utilizzo di una figura retorica, benché potentissima? Evidentemente no. Ciò che diventa possibile, secondo me, è utilizzare tutta la potenza dell'ironia, perché si assume, si palesa e si rivendica un punto di vista. Il proprio, della propria classe di appartenenza, del proprio genere, della propria storia e delle proprie rivendicazioni. E qui ci stiamo portando su un terreno scivoloso in cui è meglio non avventurarsi prima del preludio della fine del nostro discorso. E allora fingiamo di allontanarci con un balzo – non fidatevi, è solo l'apparenza di un artificio retorico, non fidatevi mai di chi fotografa (continua...).