Zorba era una piccola gatta senza un occhio. Crescendo, diventò una grande gatta con un occhio. Era il terrore di quasi tutti i gatti suoi coinquilini. Attraversava il corridoio e sferrava zampate ai primi malcapitati, poi proseguiva per la sua strada, senza curarsi di loro. All' occhio di Zorba, nulla sfuggiva, soprattutto i piccoli oggetti. Sotto il divano sistemava i suoi bottini, ordinati in modo rigoroso: le carte di caramelle da una parte, le biro da un'altra, gli accendini in un posto a sé. Si capisce che non gradisse le pulizie di casa. Ma era sempre pronta a ricominciare.
Adorava gli esseri umani, gli unici che rispettava, forse era convinta di appartenere alla stessa specie. Si trattava solo di tempo e della giusta alimentazione. Quindi pretendeva di mangiare qualunque cosa mangiassimo noi. Aveva una profonda inclinazione per il canto, a cui cercava di resistere. Ma alcune melodie la travolgevano e cosi su "Maledetta primavera", soprattutto se cantata da voci femminili, si lasciava andare a vocalizi appassionati. Un inopportuno trasloco ci portò in appartamento condiviso e Zorba si dovette adattare a una cuccia nel giardino condominiale, ma era sempre pronta a entrare di nascosto, come un'amante e infilarsi sotto le mie coperte, durante la notte. Di giorno era la boss del quartiere. Faceva la prepotente con qualunque animale, di qualunque taglia: gatti, certo, ma anche gabbiani e cani. La sera ci facevamo delle piccole passeggiate insieme, per comprare le sigarette, per prendere una pizza o anche solo un po' d'aria. Lei apriva la strada e ho potuto verificare quanto fosse temuta dai cani del quartiere. Un giorno ne incontrò uno che non ebbe paura di lei. E' morta in combattimento. Qualcuno le ha dedicato poesie e, a Cagliari, ci sono ancora scritte sui muri che la ricordano. La migliore: Occhio! Zorba ti guarda. Queste pagine le sono dedicate, per affetto e per la sua visione monoculare. Come in fotografia..