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autoritratto nell'occhio della gatta Zorba |
“non son, non son io che paio in viso;
quel ch’era Orlando è morto ed è sotterra;
io son lo spirto suo da lui diviso”….
( da “Orlando Furioso” di L. Ariosto)
Se si cerca la parola autoscopia sull'oracolo google capita perlopiù di incontrare descrizioni psichiatriche di "disturbi della personalità", qualunque cosa voglia dire (ammetto di non comprendere affatto il discorso psichiatrico). L'autoscopia, ossia il vedersi, il percepire il proprio corpo come se si fosse all'esterno di esso, essere fuori di sé, insomma, è storia antica, esperienza vasta e variamente interpretata, nei tempi e nelle culture.

Avete mai sperimentato una strana sensazione di disagio nel guardare una vostra foto? Roland Barthes, nell'ultimo dei suoi libri, La camera chiara, ci riflette parecchio su. Secondo Barthes, nel momento dello scatto fotografico, si incontrano quattro immaginari: ciò che io penso di essere, ciò che vorrei far apparire, ciò che il fotografo pensa di me e come vuole apparire attraverso gli strumenti della sua arte. Una gran casino, in effetti. E quando ci troviamo tra le mani il risultato di tutto questo sovraffollamento di immaginari, direi che una sensazione di straniamento è il minimo che si possa provare. Ma possiamo semplificare. Da qualche tempo, mi sto dedicando, con grande piacere, ai corsi di autorappresentazione. Significa che, quando vengo a sapere di un' esperienza interessante collettiva, invece che andare con la mia macchinetta fotografica a raccontare (quello che io capisco) di quell'esperienza, propongo un breve corso di autorappresentazione, in modo che chi vive le storie, le racconti da sè. Di solito si tratta di soggetti collettivi: presidi, comitati.. E' un metodo che abbiamo iniziato proprio come soggetto collettivo - la redazione di Fuoritema - e in ogni numero pubblichiamo alcuni di questi lavori. E' la differenza che c'è tra una biografia (più o meno autorizzata) e un'autobiografia, con l'aggravante che quando si ha a che fare con l'immagine fotografica tutto diventa più delicato e aumentano le possibilità di far del bene o far del male. E allora perché affidarsi a scelte altrui? Tantovale farsi del bene.

Ma ritorniamo all'autoscopia, che in fotografia diventa l'autoritratto. La folla di immaginari e le loro possibili interazioni se n'è andata a casa e sono rimasta io con me stessa. Io, con l'idea di me (o con le idee di me, perché limitarsi). Garantisco che è una relazione fertile e foriera di un sacco di idee. Si ha poi la possibilità di riguardarsi, ogni volta che ne abbiamo voglia, con buona pace degli psichiatri. Il tutto, senza dover affrontare lunghi percorsi sciamanici e senza assumere funghetti allucinogeni. Non che abbia qualcosa in contrario, né ai primi, né ai secondi. Provare per credere (l'autoscopia intendo).